domenica 25 maggio 2014

Emil Cioran, "L'agonia dell'Occidente", Edizioni Bietti, Milano 2014

«L'agonia dell'Occidente» con Cioran e Kraus


http://www.ibs.it/code/9788882483142/cioran-emil-m/agonia-dell-occidente-lettere-a.html
Durato quasi vent’anni, il carteggio intrattenuto da Cioran con il filosofo della cultura austriaco Wolfgang Kraus, in uscita presso le edizioni Bietti (L'agonia dell'Occidente. Lettere a Wolfgang Kraus 1971-1990, pp. 440, € 24,00), con le sue centocinquantotto lettere si presenta come uno dei più ragguardevoli tra quelli ad oggi pubblicati dello scrittore romeno. L’incontro tra i due avviene in occasione della traduzione in lingua tedesca del Mauvais démiurge per i tipi della casa editrice Europa di Vienna, dove Kraus allora lavorava. Ne nasce un appassionante connubio intellettuale, che germoglia ben presto in una sincera amicizia, testimoniata dall’intenso scambio epistolare e dai numerosi incontri.
L’orizzonte che fa da sfondo al dialogo epistolare è quello della crisi della cultura europea, prefigurata dallo sgretolamento dell’Impero asburgico e sclerotizzata, nel secondo dopoguerra, in una geopolitica dei blocchi contrapposti. Le lettere a Kraus registrano in presa diretta, tra le altre cose, le spietate analisi di Cioran ...
sull’attualità politica e sul destino dei popoli; i timori per l’avanzata dell’egemonia sovietica e le sferzate contro il culto vacanziero, «nuova religione» dell’Occidente; le mortificazioni dovute alla propria condizione di «forzato della penna» e le caustiche considerazioni sulle stravaganze  del mondo letterario.
Entrambi affetti da «chiaroveggenza politica», sia Cioran che Kraus, da abitatori dell’Occidente – nel senso etimologico ed epocale di Terra del tramonto –, convengono nel diagnosticare la malattia europea nella mancanza di «un punto d’orientamento da una categoria fondamentale», nello svuotamento della religione e nell’inaridimento della vita spirituale. Tradotto in termini cioraniani, l’Occidente si trova ad affrontare la fase finale della propria parabola storica, avendo esaurito le «disponibilità metafisiche» ed essendo del tutto privo «di riserve sostanziali d’assoluto».
Nel carteggio con Kraus, lo spettro del «pericolo russo» che aleggia sull'Europa diventa per Cioran un’ossessione che rasenta l’incubo. Rispetto al decrepito Occidente, l’Impero sovietico, con la sua sterminata estensione e compattezza ideologica, gode di una schiacciante longevità, in grado di incutere un giustificato timore in chi, come Cioran, vede i propri familiari perseguitati dalla variante romena del socialismo reale. In Francia, ad ogni tornata elettorale Cioran teme il peggio, ovvero la presa del potere da parte dei comunisti occidentali – convinto com’è che i sovietici non abbiano bisogno di occupare, poiché già insediatisi tramite i partiti.
Già da tempo l’Europa non ha più fede in se stessa, e una civiltà che non crede più nei valori che ha generato non ha futuro, mentre la Russia, «il cui spirito aderisce ancora alla terra, al sangue, alla carne», non ancora fiaccata dal «virus della libertà», possiede ancora un destino, persino dopo la caduta dell’URSS: «I Russi non sono fatti per la libertà e gli Europei d’Occidente sono troppo stanchi per difenderla».
Di fronte alle minacciose armate sovietiche, le uniche «divisioni» leggere che l’Europa è in grado di mobilitare sono quelle dei villeggianti, pellegrini della «nuova religione» d’Occidente: la vacanza. Già Kierkegaard notava come la nostra epoca, tragica e comica a un tempo, ricordasse quella del disfacimento dello Stato greco: «Tutto rimane ancora in piedi, solo che nessuno più vi crede». Il soffio vitale che animava le istituzioni tradizionali è svanito per sempre, lasciando il posto a una stanchezza secolare che paralizza l’intero continente. In tale vuoto culturale ha prosperato l’ingordigia economica, guidata dal folle miraggio di una crescita infinita, di cui l’odierna deriva finanziaria è solo l’ultima degenerazione, la convulsione finale di una lenta agonia che attraversa tutto il Novecento europeo, incapace com’è di ripensare i propri valori e generare nuove utopie sostenibili.
La libertà, come d’altronde la felicità, è percepibile solo per via negativa, nell’oppressione e nella privazione – come mancanza, insomma. Quand’è realizzata e sfrenata come in Occidente, diventa un concetto evanescente, impalpabile, oppure decade a mera licenziosità, foriera di un’ansia che divora se stessa, risucchiata dalla vertiginosa indeterminatezza di un possibile senza limiti. L’horror vacui spinge la libertà a una trasgressione continua, fino a demolire le condizioni stesse del suo sussistere, ovvero capovolgendosi nel suo contrario. Al punto che, nota Cioran, a Parigi, nel cuore stesso dell’Europa libera, in preda a isterismi collettivi «si parla di RIVOLUZIONE, sebbene quasi tutti sappiano che un evento del genere sarebbe un vero inferno». Come dire: «Storia ed equivoco sono sinonimi»…
A sconcertare di più, incalza Cioran, è l’ingenuo entusiasmo di certi maîtres à penser (tra i quali Sartre, Althusser e Baudrillard) pronti ad inneggiare al «terrore organizzato» della Rivoluzione culturale maoista, o, addirittura, a deificare un «boia con pretese ideologiche» quale Stalin. Il culto esotico votato alle divinità straniere nasconde in Europa il nichilismo culturale imperante, santificando così l’intolleranza e un totalitarismo d’importazione. Il comunismo in Occidente? «Fascino del terrore in un mondo vuoto».
Quanto all’America, «misto d’ingenuità e corruzione, è incapace di guidare la politica mondiale». Inoltre, l’attentato al presidente Reagan del 1981 – che, nella perversa logica finanziaria, provoca addirittura un deprezzamento del dollaro – mostra a parere di Cioran l’estrema vulnerabilità e fragilità psicologica dell’Occidente, a dispetto della sua tanto ostentata potenza militare. Giudizio quanto mai premonitore, se si pensa a quanto accadrà vent’anni dopo, l’11 settembre 2001…
D’altronde, per Cioran «l’avvenire appartiene alla periferia del globo», sarà appannaggio di popoli storicamente giovani, di quelle civiltà ermeticamente chiuse nelle proprie tradizioni che non hanno ancora dissipato il proprio capitale di «brutalità arcaica». È il caso dei Paesi arabi, che Israele ha avuto l’imprudenza di risvegliare dal loro letargo storico. In riferimento a questo, Cioran azzarda una profezia: «Tra cinquant’anni Notre-Dame sarà una moschea». Tra i popoli longevi non figura di certo la Romania. Dopo l’iniziale entusiasmo per gli avvenimenti dell’ottantanove e la caduta di Ceausescu, subentra in Cioran una sconsolata disillusione: «In quel Paese tutto è naufragato. È la sua unica originalità».
Il carteggio è arricchito inoltre da due toccanti lettere di Simone Boué, compagna di Cioran, scritte durante la malattia del filosofo e all’indomani della morte, nonché da cinque missive di Kraus, le uniche finora ritrovate. Il volume è completato, infine, da centoundici brani scelti dal Diario di Kraus, dove, tra ricordi, ritratti e gustosi aneddoti, l’opera e la figura di Cioran vengono ripercorse in filigrana, tanto nella loro indiscutibile grandezza quanto per le inevitabili controindicazioni che recano in sé, sempre all’insegna di una stimolante e riconoscente amicizia.
Massimo Carloni


Due lettere di E. M. Cioran a Wolfgang Kraus
                                                                                    Parigi, 29 maggio 1976
Caro Signor Kraus,
Le chiese di Bucarest sono piene, ma più per motivi politici che religiosi. Forse mi sbaglio. In ogni caso, la vittoria del marxismo è l’ultima chance del cristianesimo. La Chiesa dev’essere oppressa, altrimenti diventerà troppo convenzionale e antiquata. In Occidente, solo una spietata tirannia può ancora salvarla.
Sono consapevole di esistere, in qualche modo, nella… mia terra. Sfortunatamente sono diventato uno sradicato, soprattutto perché ho rinunciato alla mia lingua madre. Che significato avrebbe l’Austria per lei, se abbandonasse la lingua tedesca?
Non ricordo se le ho detto che, tre mesi orsono, mi hanno offerto un premio americano istituito di recente (12.000 dollari), con l’obiettivo di gratificare uno scrittore poco conosciuto (o apprezzato). Ho rifiutato subito l’offerta, soprattutto a causa della consegna solenne del premio (giornalisti, televisione, ecc.), ma anche perché un successo forzato mi ripugna. Si può vivere benissimo senza applausi. Ma non senza aver visto Ispahan. Che avvenimento per lei una simile visita!
Luc, il figlio di Bondy, è un giovane amabile e intelligente. Tutti quelli che lo conoscono sono sconvolti. In casi simili, il termine inferno acquisisce senso e significato. François e Lillian sono sicuramente disperati.
Quasi certamente, l’itterizia di loro figlio è la conseguenza delle sue esperienze matrimoniali negative. Il matrimonio è un’avventura che conduce sovente all’ospedale.
L’edizione francese dei Wasserträger [Portatori d’acqua] di Sperber ha avuto una recensione favorevole su «Le Monde» e «Le Figaro».

Cordiali saluti
Suo
E. M. Cioran

                                                                                           Parigi, 11 gennaio 1987
Caro Signor Kraus,
Molte grazie per la sua gentile lettera, che contiene tante cose positive. Lei fa progetti, io non ne faccio più. Temporaneamente – in linea di principio per sempre – ho rinunciato a scrivere altri libri. Il mio, speriamo sia l’ultimo, è appena stato pubblicato. Non ho veramente più alcuna voglia d’attaccare Dio, il mondo e… me stesso. Leggo molto – come sempre, in fondo – e ciò mi stupisce. La curiosità è un segno di vitalità. Il mio stato di salute non è particolarmente brillante. La memoria funziona male (questa è la vecchiaia) e lo stomaco non mi soccorre.
La morte di Eliade naturalmente mi ha colpito molto, ma meno di quanto pensassi. Avevamo sempre meno cose in comune. Era diventato una «personalità». La Romania sta superando l’inferno. Questo è senz’altro un successo. In un certo senso, non è un caso che io provenga da quel popolo. Invidio lei e Trude che potete vivere a contatto diretto con l’Ungheria. Ho sempre ammirato quel Paese per il suo fascino. – I mass media sono sicuramente una catastrofe per l’Occidente, ma la causa reale è più profonda e incurabile. Non c’è salvezza per una civilizzazione che non crede più in se stessa. Posso azzardare una profezia? Tra cinquant’anni Notre Dame sarà una moschea.
Sarò molto contento di rivedervi prima dell’estate.
Cari saluti a lei e Trude anche da Simone
Suo
Cioran

MASSIMO CARLONI
L'agonia dell'Occidente. Lettere a Wolfgang Kraus 1971-1990
Pagine 440, euro 24
Edizioni Bietti
Orizzonti culturali italo-romeni - edizione italiana: www.orizzonticulturali.it
Orizonturi culturale italo-române - ediţia română: www.orizonturiculturale.ro
 (n. 5, maggio 2014, anno IV)

domenica 18 maggio 2014

Sini, Donà e Gasparotti parlano del libro di Giovanni Sessa su Andrea Emo

Mercoledì 28 maggio, h. 16.30
Università degli Studi di Milano
Via Festa del Perdono 3,  Aula 104

La chimera e la fenice
Andrea Emo testimone del suo tempo

Presentazione del libro di Giovanni Sessa La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, Edizioni Bietti, Milano 2014

Intervengono:
Massimo Donà (Università San Raffaele, Milano)
Romano Gasparotti (Accademia di Belle Arti di Brera, Milano)
Carlo Sini (Università degli Studi di Milano)

Modera:
Davide Bigalli (Università degli Studi di Milano)

Sarà presente l’autore





lunedì 5 maggio 2014

Eliade e Cioran @ Salone del libro 2014


Salone Internazionale del Libro di Torino
Sabato 10 maggio, h. 18.00
Stand della Romania (Padiglione 3, R06-S05)

L’altra Europa.
La Romania di Mircea Eliade ed Emil Cioran

Presentazione di:
Mircea Eliade, Salazar e la rivoluzione in Portogallo, a cura di Horia Corneliu Cicortas, Edizioni Bietti, Milano 2013; Emil Cioran, L’agonia dell’Occidente, edizione italiana a cura di Massimo Carloni, Edizioni Bietti, Milano 2014 «Antarès», n. 7/2014, Il paradosso romeno: Eliade, Cioran e la giovane generazione, Edizioni Bietti, Milano 2014

Interverranno:
Franco Cardini, Massimo Carloni, Horia Corneliu Cicortaş, Gianfranco de Turris e Andrea Scarabelli




lunedì 28 aprile 2014

http://www.ilgiorno.it/milano/cultura/2014/04/25/1057051-libro_giorno_gennaro_malgieri_riscoprire_julius_evola_ogni_pregiudizi.shtml

Riscoprire Julius Evola al di là di ogni pregiudizio

Milano, 25 aprile 2014 - Dopo una lunga e ingiustificata demonizzazione, sembra che anche a Julius Evola venga finalmente riconosciuto il suo status di rappresentante tutt’altro che secondario della cultura italiana del Novecento. Un pensatore equanime e coltissimo come Franco Volpi, prematuramente scomparso, riteneva già anni fa Evola uno dei grandi filosofi del secolo scorso insieme con Gentile e Croce. Si possono, com’è giusto che sia, criticare e confutare le idee evoliane, ma non è accettabile rigettarle in base a pregiudizi che negano la le stessa libertà di pensiero. E soprattutto non è lecito rinchiuderlo in una sorta di “cattiverio” senza conoscerlo approfonditamente. L’occasione per ripercorrere il suo itinerario intellettuale è offerta, nel quarantesimo anniversario della sua morte, dalla ripubblicazione a cinquant’anni dalla prima edizione del “Cammino del cinabro” che un editore non di parte, ma libero ed onesto, Vanni Scheiwiller, volle a tutti i costi nel suo prestigioso catalogo al fine di respingere le polemiche che qualche anno prima avevano accompagnato l’uscita di “Cavalcare la tigre”, testo evoliano “cruciale” sotto tutti i punti di vista.
Arricchita da note, foto inedite, nuova documentazione e da una bibliografia imponente, la nuova edizione del libro curata da Gianfranco de Turris con l’apporto di Andrea Scarabelli e Giovanni Sessa, preceduta da un saggio di Geminello Alvi significativamente intitolato “L’ebbrezza del vuoto”, si conferma come il solo testo per comprendere l’accidentato e non sempre lineare percorso di Evola nella cultura novecentesca nella quale - come ormai convengono perfino i più ostinati detrattori di un tempo - trasfuse nuova linfa riportando d’attualità un tradizionalismo non sclerotizzato, ma dinamico e una visione del mondo e della vita fondata sui valori spirituali.
Soltanto dalla lettura del “Cammino del cinabro”, vera e propria autobiografia interiore, è possibile capire il tentativo di rimodulare l’approccio alla modernità da parte del pensatore che immaginava una “rivolta” intellettuale e morale per ripristinare non certo decrepiti istituti, bensì per rimettere al centro della cultura e della riflessione politica la persona aggredita dal totalitarismo materialistico e tecnocratico.
Con questo testo Evola restituisce se stesso, in un certo modo, alla platea dei lettori al di là delle interpretazioni apologetiche e delle sconfessioni immotivate. E lo fa raccontandosi attraverso i suoi stessi libri nei quali è condensato un pensiero che, per quanto anticonformista secondo i parametri contemporanei, non smette di suscitare interesse soprattutto in ambiti nei quali neppure l’interessato poteva immaginare.
Gennaro Malgieri

http://www.iltempo.it/cultura-spettacoli/2014/04/25/evola-lo-spirito-libero-della-destra-1.1243481

Evola, lo spirito libero della Destra

Si riapre il dibattito sull’opera del Barone Nero anticonformista. Una lettura oltre ogni pregiudizio della sua visione del mondo

Chi è stato "davvero" Julius Evola? Quale ruolo ha avuto nelle battaglie culturali del Novecento? È possibile tracciare un profilo dell'uomo e del pensatore "sine ira et studio"? Gli interrogativi hanno ben più di una ragion d'essere perché, a quarant'anni dalla morte, l'immagine di Evola per molti è ancora circondata da una sorta di alone sulfureo: il fascista e il nazista, il razzista e l'antisemita, il cattivo maestro della Destra neofascista più radicale e l'inquietante evocatore di una Tradizione immemoriale, magica ed esoterica, suscitano perplessità, con conseguenti "vade retro".
È per questo che da anni un intellettuale dalla vocazione scomoda come Gianfranco de Turris si è assunto il gravoso impegno di scavare nella biografia e nell'opera del "Barone Nero" al fine di offrire materiale a un dibattito aperto. Il che significa immune da ogni pregiudizio. Non ne aveva davvero un grande editore liberale come Vanni Scheiwiller, quando nel 1961 decise di pubblicare Cavalcare la tigre , un libro carico di suggestioni esistenziali, politiche e metapolitiche, suscitando un vespaio di polemiche tra tutti i custodi del politicamente corretto. Scheiwiller non si fece intimidire, ma perseverò, tanto da rispondere due anni dopo ai vari "indignados"- fossero amici scandalizzati o librai impauriti che toglievano il libro dalle vetrine- con un'altra opera Il cammino del cinabro , adesso riproposta dalle Edizioni Mediterranee (saggio introduttivo di Geminello Alvi; revisione, bibliografie, documenti e note a cura di Gianfranco de Turris, Andrea Scarabelli e Giovanni Sessa; pp. 439, euro 32,50).
Il libro, con quel titolo che evoca la simbologia ermetica, è una sorta di autobiografia spirituale: Evola si racconta attraverso le sue opere, illuminando il lettore su una visione del mondo che resta coerentemente integra attraverso gli anni. Ma che, di volta in volta, confrontandosi con la storia, dunque anche col fascismo, il nazismo, il razzismo ecc., porta il pensatore a compiere delle scelte. Sempre in totale libertà di spirito e affrontandone le conseguenze: Evola, è bene saperlo, non fu mai, nel Ventennio, un intellettuale organico, ebbe rapporti e collaborò con testate antifasciste, non ebbe mai la tessera del PNF, fu malvisto e calunniato in molti ambienti della cultura littoria più ortodossa, accettò del fascismo e del nazismo solo quel che era conforme alla sua visione di una Destra tradizionale, aristocratica, spirituale. Per quel che riguarda il razzismo, poi, le sue posizioni erano tutt'altro che in linea con quelle ufficiali del Regime, incline a modellarle sull'antisemitismo "biologico" di stampo nazista. E a dargli questo ulteriore attestato di libertà intellettuale è l'insospettabile Renzo De Felice nella sua Storia degli ebrei sotto il fascismo .
Insomma, Evola, come più volte ebbe modo di dire Vanni Scheiwiller, poteva piacere o non piacere, ma gli si doveva riconoscere quella qualifica di "spirito libero" e anticonformista, che all'editore era particolarmente cara (si veda, tra i documenti di questa nuova edizione del Cinabro - che contiene anche un ricco apparato fotografico, in gran parte inedito- la lettera a Lamberto Vitali, Perché ho pubblicato Evola , p.33). E poi come non riconoscere un "multiforme ingegno" all'alfiere del dadaismo italiano e poi al teorico dell'idealismo assoluto e al grande studioso dell'Oriente sapienziale, della morfologia della storia, del mito, del simbolo, dell'alchimia, della metafisica del sesso?
Il cammino del cinabro può ben essere la guida a un viaggio comunque affascinante. La lettura diretta delle opere - de Turris e le Mediterranee le ripropongono filologicamente, affidandone ciascuna a curatori illustri, da Zecchi a Cardini, da Antonini a Galli, da Filippani-Ronconi a Parlato, da Freschi a de Benoist ecc.- varrà da conferma. E che il dibattito, fondato e spregiudicato, abbia seguito.
Mario Bernardi Guardi

giovedì 20 marzo 2014

Eliade - Salazar presentazione a Trento

Giovedì 3 aprile 2014 h. 17,30

Sala degli Affreschi
Biblioteca comunale di Trento
Via Roma 55, Trento

Presentazione del volume di Mircea Eliade:
«Salazar e la rivoluzione in Portogallo»
(Edizioni Bietti, Milano 2013)
Interverranno:
Stefano Chemelli – Museo Storico di Trento
Horia Corneliu Cicortaş – curatore del volume
Andrea Zanotti – Università di Bologna

lunedì 5 agosto 2013

Lisbona 2012

Lisbona 2012. Pessoa o del re interiore dell'europa
di Andrea Scarabelli

(in Aa. Vv., Per quale motivo Israele può avere 400 testate atomiche e l'Iran nessuna? L'impero interiore, Edizioni La Carmelina, Ferrara 2013)
http://www.edizionilacarmelina.it/?page_id=613


LISBONA, NOVEMBRE 2012. Ultimo atto: in capo all'Occidente – oltre ultra – il Portogallo attende ancora il suo re perduto, disperso in guerra contro i mori e mai più ritrovato, almeno nelle sue spoglie mortali. Quella di Ksar El Kebir fu una missione suicida, a tutti gli effetti. Poche divisioni di europei innanzi a schiere sterminate di musulmani. Ma Dom Sebastiao seppe che ciò era necessario. Il suo sacrificio avrebbe fecondato la terra. L'esercito decimato, il corpo del Re mai rinvenuto. Perito? Nessuno volle crederlo. Dipartito nelle Isole Fortunate – declinazione lusitana di Avallon Unterberg Gudenberg Kiffhäuser – tuttora se ne attende il ritorno.
Lisbona, novembre. “Guai a te Lusitania, che dominerai su tutte le nazioni, poiché verrà il tempo in cui la tua luce si spegnerà; ti troverai sotto i piedi degli altri, che ti romperanno, come se fossi un vaso di coccio, e porteranno via le tue ricchezze e i tuoi tesori; allora sarai tributaria, gemerai, e di tutti coloro che ti amavano nessuno ti consolerà. Il tuo onore sarà diventato diverso, la tua gente distrutta, le tue città conquistate dagli infedeli”, scriveva Pessoa, profeticamente. La antica potenza imperiale – l'odierna colonia finanziaria. Ecco gli infedeli di cui sopra. Finis terrae. “In principio era la parola e la parola veniva tradita” (E. P.). Leggendo la filigrana del passato s'intravvede la miseria del presente. È la nostra disgrazia – ma forse anche il principio della salvezza.
Lisbona, oggetto di queste pagine, assurge a simbolo dell'Europa intera, in bilico tra il ricordo di un re scomparso e la speranza in uno che si attarda a risorgere, dal cuore della montagna o nell'isola nella quale giace, assopito, sognando il suo Impero. Il suo sogno è l'Europa, destino millenario ceduto a grigi burocrati tecnocrati plutocrati. Il Re dorme ancora.
Ma valle a spiegare queste cose ai banchieri, alle Fraulein e ai professori, ai detentori dell'Euro, unica madrelingua di un Occidente che ha abdicato al compito di darsi una forma, di assegnarsi un compito, di regalarsi un'identità. Valle a spiegare a codesti signori – trova, se ti riesce, qualcuno disposto a processarli; quale corte potrebbe giudicarli, quale tribunale inchiodarli ai loro misfatti (E. P.)?
Certo, la posta in gioco è abissale: si tratta di rinunciare alla possibilità di stabilire una linea di continuità tra un glorioso passato, un presente incerto e un futuro quanto mai incombente, indovinabile solo tramite diagrammi ed istogrammi, vaticini dell'oggi. Il Portogallo. L'Europa.
Entrambi attendono il Re. E c'è ancora chi, in mattinate di nebbia, memore dell'antica profezia, si azzarda: “Ora torna D. Sebastiao”. Ma il sovrano si fa desiderare. E invano ci si attarda a cercarne i lineamenti nel demagogo di turno, quand'anche nel professionista sportivo o televisivo. Translatio imperii modernissima.
Eppure, lo stesso Pessoa chiarì, in modo non passibile di fraintendimento alcuno, i termini di questo auspicio. Il Portogallo – ma qui potremmo estendere il discorso all'Europa intera – ha sempre atteso il ritorno fisico del sovrano. Mancando questa figura, è avvolto da una cappa di passatismo incapacitante – saudade crepuscolare che paralizza l'azione. Coltiviamo il sogno del re nei nostri cuori ed esso risorgerà, calcherà nuovamente la scena della storia continentale. Sarà un nuovo inizio, di certo – ma tutto il resto dovrà prima colare a picco. Questa la Via della Mano Sinistra pessoana: “Iniziamo a inebriarci di questo sogno, ad integrarlo in noi, a incarnarlo. Fatto questo, ciascuno di noi in indipendenza e da solo a solo con sé, il sogno si propagherà senza sforzo in tutto quello che diremo e scriveremo, e l'atmosfera sarà creata (…). Allora si formerà nella Nazione il fenomeno imprevedibile da cui nasceranno le Nuove Scoperte, la creazione del Mondo Nuovo, il Quinto Impero. Sarà ritornato il Re Don Sebastiano”.
Forse occorre ripensare la venuta del desejado, dell'encoberto, del sovrano, da intendersi in modo affatto diverso da quanto accaduto sinora? Forse che l'oro a cui anelare non sia quello volgare (così detto dalla sapienza ermetica) con il quale oggi si ricattano i popoli, ipotecandone il futuro, ma quello celeste – solare – da realizzarsi sub specie interioritatis? E invece no: noialtri si attende il Re dalle Isole Fortunate. E la deriva continua.
Il nascondimento del Re – questo il messaggio di cui l'attuale dramma lusitano può farsi latore – non è altro che un modo d'essere nostro. La sovranità di cui sopra non deve palesarsi fisicamente ma fare capolino come disposizione essenziale ad accoglierla e ridestarla al nostro interno, appunto. Abdicando al compito di assegnarci un destino, abbiamo cacciato il Re presso Avallon, le Isole beate, chiamiamolo come ci pare. Questi luoghi non sono fisici ma prima di tutto esistenziali. Non si giunge ad Avallon tramite navi o aeroplani ma attraverso una metanoia. Questo il bivio che attende l'Europa.
Insomma, vi è ritorno e ritorno. L'uno esterno, per così dire, materiale, e l'altro interiore, spirituale. Il primo dà come risultato la nostalgia per un paradiso che nasce già in quanto perduto, il secondo si configura invece come esperienza immortalante, come destino.
Ebbene, il Re di cui parla Pessoa è del tutto interiore – non che si risolva nel subconscio, beninteso, come certuni vangeli moderni pretendono di assumere – e ha da essere raffigurato come un compito, un anelito, uno stato da conseguirsi. E la sovranità è il destino dell'Europa. Nazionalismo mistico: così Pessoa definì questa Grundstimmung, variazione modernissima di una disposizione assai antica.
Il re esige una metanoia, prima di comparire, o chi lo riconoscerà? La venuta del sovrano è dapprima interiore: è sufficiente ridestare il monarca in sé per poi – alchemicamente – proiettarlo fuori di sé. Questa l'unica via moderna alla sovranità, del tutto europea. Un'ascesi solare, regale, che veda nel monarca fisico un simbolo – e nulla di più – di un iter da realizzarsi a livello individuale, qualsiasi altra possibilità essendo relegata alla maledizione della saudade, per l'appunto. Al pari del nichilismo europeo, naturale esito di un dio cercato fuori di sé e eteroconseguito, e non sorpreso nella propria interiorità.
Una soluzione moderna ad un problema insolubile, laddove nella modernità ci si radichi. È una risposta tradizionale alla crisi. Non si guarisce dalla malattia utilizzando i suoi stessi strumenti – persino la Via della Mano Sinistra richiedendo, in effetti, un orientamento superiore. Monito dirimente, al fine di superare l'impasse del capitale che la modernità esibisce quale suo tratto preponderante: quando la partita è organizzata e diretta da bari, occorre essere risoluti e rovesciare la scacchiera, come scrisse Jünger – solo così il Re interiore dell'Europa risorgerà.
Lisbona. Alla stazione del Rossio, una raffigurazione di Lima de Freitas mostra Fernando Pessoa, tra le mani una copia de La via del serpente, incoronato di gloria. Due serpi si rincorrono per tutta l'estensione del dipinto, srotolandosi da Christian Rosenkreutz alle stelle. Pessoa va a costituire l'asse di un caduceo ermetico, di quel caduceo che è il Portogallo – ma forse l'Europa intera, che ha da riconoscersi come realtà assiale, verticale, prima che aggregato socio-economico (secondo una tale ottica, la presente crisi potrebbe essere addirittura un'occasione, non avendo intaccato che l'Europa “orizzontale” e forse favorendo persino il ricordo di un'altra Europa).
Incoronandosi e scegliendosi come destino, insomma. Il re sarebbe tornato, in un giorno di nebbia, dicevano i vaticini, restaurando l'antico splendore portoghese e instaurando il Quinto Impero, somma e sintesi dei precedenti quattro, elencati dalla profezia di Daniele. Ecco la variazione pessoana sul tema, che chiude Messaggio, canto del Portogallo ma dell'Occidente intero:

Tutto è disperso, niente è intero.
Portogallo, oggi sei nebbia.
È l'Ora!
                                                         Valete, Fratres.

È l'ora. Che il Re venga disvelato, che i frammenti di un sogno – lungo svariati secoli – possano costituire una compagine organica, atta a farci transitare oltre il declino, oltre la catabasi dell'ortodossia economica, oltre la storia, oltre l'Occidente.
L'Europa è (ancora) una missione.
Pessoa ne è il cantore.

Andrea Scarabelli