lunedì 27 febbraio 2012

Antarès

Antarès - Moderno e Antimoderno
di Andrea Scarabelli

(apparso su Il Borghese, Dicembre 2010)


È uscito il secondo fascicolo di Antarès - prospettive antimoderne, rivista di filosofia, letteratura, estetica ed esoterismo nata l'autunno scorso presso la facoltà di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, per iniziativa di Andrea Scarabelli, Emanuele Guarnieri e Rita Catania Marrone, e ora distribuita dall’editore milanese Bietti, a scansione trimestrale e in forma interamente gratuita.
Il progetto editoriale, che si avvale della collaborazione di Gianfranco de Turris, in veste di direttore responsabile, ha come fulcro ideale il pensiero dei cosiddetti antimoderni - intellettuali del novero di Jünger, Evola, Spengler, Simmel, Pessoa, Lovecraft, Guénon, de Giorgio e Tolkien. Autori sottoposti a censure parziali o integrali e a letture spesso faziose ed imprecise, il cui pensiero viene scandagliato in numerosi versanti al fine di operare una diagnosi puntuale del presente che ci ospita. E ciò, innanzitutto, in relazione ad una certa dogmatica moderna – il nostro presente, che ha in odio tutto ciò che è dogmatico, dispone di assiomi peculiari non passibili di essere messi in discussione. Antarès si muove, dunque, indagando la genesi di quelle parole d’ordine che scatenano, secondo schemi di pavloviana memoria, ondate di sdegno incondizionato o di assensi acritici. L’égalitarismo selvaggio imperante, la democrazia come unico paradigma politico, il mito del progresso e i vangeli della scienza e della tecnica: detti dogmi non sono assoluti ma nostri e solo nostri. Riconoscere ciò equivale a dare scacco alla loro pretesa universalità.
Ciò misero a fuoco alcuni degli autori appena ricordati. Ma non solo: se oggi è divenuto di moda criticare il proprio presente - spesso in maniera semplicistica e disordinata - Antarès si muove nella persuasione che solo una critica in grado di prendere le mosse da istanze archetipiche e mitografiche possa dirsi efficace. Nessun cambiamento potrà compiersi se non accompagnato da un rinnovamento spirituale.
Il primo fascicolo viene consacrato ad H. P. Lovecraft, incarnazione di una solida "immagine del mondo" antiprogressista, antidemocratica e antiégualitaria. Il secondo numero, “Il pensiero in cammino”, ora in fase di distribuzione, è invece teso ad evidenziare quelle possibilità trascendenti che il cammino - laddove affrontato in maniera autentica e non secondo quelle deviazioni esotiche, neospiritualiste e new age odierne - è in grado di ridestare.
Contemporaneamente a questa iniziativa, è in fase di preparazione una collana di testi "antimoderni" intitolata L'Archeometro, diretta da Andrea Scarabelli. Detta collezione, che inizierà la sua attività al principio del 2012, ospiterà volumi di e/o su Cristina Campo, Guido Morselli, Giuseppe Rensi, Mircea Eliade, Andrea Emo, Ezra Pound, Giuseppe Prezzolini e Fernando Pessoa.
La redazione di Antarès auspica che le colonne della rivista possano ospitare un mosaico di nomi sempre più complesso; pertanto, per collaborazioni o delucidazioni, è possibile contattare la direzione all'indirizzo e-mail antares@edizionibietti.com oppure consultare il sito www.antaresrivista.it .

Presentazione I figli di Bakunin



Presentazione del libro
I figli di Bakunin
Interverranno
Davide Bigalli
Andrea Scarabelli
Paolo Sensini

Libreria Odradek
Via Principe Eugenio 28

Venerdì 24 febbraio h. 18.00

Ormai solo un Dio ci può salvare Milano 1 marzo 2012

 Heidegger e la Tecnica 
intervista a Andrea Scarabelli di Roby Guerra

http://nuovaoggettivita.blogspot.com/2012/02/ormai-solo-un-dio-ci-puo-salvare-milano.html



D. Heidegger e le Macchine, attualità transtemporale del Maestro europeo?


R. Leggere Heidegger oggi, assieme a numerosi critici della tecnica come Jünger, Spengler, Schmitt, Sombart, è particolarmente funzionale. Certo, è pur vero che, sebbene sia possibile raccordare gli anni della crisi che viviamo con quelli che fecero da retroscena alle loro analisi, il nostro presente dispone di uno scarto incolmabile. Ragion per cui, è nell'ottica di nuove letture, di nuove integrazioni che occorre ri-percorrere i sentieri di ieri. La cultura delle nuove sintesi può dirsi, a tale proposito, estremamente fruttuosa nell'indicare nuovi tracciati, che si facciano carico delle domande che il nostro tempo ci pone eludendo, al contempo, l'insufficienza delle risposte sino ad ora fornite.
D'altra parte, è bene ricordare che, come scrisse Goethe, la società che ospita il nostro incedere presenta una duplice sfaccettatura, tecnica e simbolica. Da qui, la necessità di elaborare un antidoto alla crisi che tenga conto di entrambe le necessità, che non si rifugi cioè in un astrattismo incapacitante né in un culto schizoide dell'azione. Occorre, potremmo dire, inquadrare una terza via, che sappia ricondurre ad un comun denominatore questa duplice anima, che Spengler chiamò il volto bifronte della civiltà faustiana.

D Una Modernità altra, oltre il liberalismo e il socialismo?


R. La somiglianza che concerne le strutture menzionate è ormai sotto gli occhi di tutti. Lungi dall'essere differenti, detti movimenti traducono in termini differenti le stesse parole d'ordine, che oggi hanno dichiarato bancarotta. Il che risponde, naturalmente, ad un processo molto più ampio che sta mutando profondamente il nostro modo di vivere il presente.
L'accelerazione del nostro tempo sta bruciando tutti i residui storici di ieri per traghettarci presso nuove conformazioni destinali, che richiedono ancora un tipo d'uomo che sia in grado di amministrarne le sorti. Ora come ora, è difficile incontrare questa forma umana, ma non è escluso che essa possa sorgere improvvisamente, necessitata dagli stessi anni a venire, nei quali quella crisi oggi manifestatasi in maniera aurorale si dispiegherà con una violenza inimmaginabile.
I tipi umani aprono e chiudono le epoche storiche – solo da un uomo nuovo potremo attenderci nuovi assetti. La scommessa sta tutta qui: in che misura è possibile udirne la voce? Questo il tratto che determinerà l'uscita dalla presente crisi. Nel frattempo, un esercizio utile può dirsi lo scagliare, come diceva Nietzsche, le parole innanzi a noi. A patto che, come concludeva il filosofo tedesco, sia poi l'azione a fare da complemento.

D. La rivista Antarès, cronache culturalmente scorrette?


R. Molto scorrette, almeno da un punto di vista istituzionale. Essa può dimostrarsi a tutti gli effetti una esemplificazione della cosiddetta “eterogenesi dei fini”. Nato in un contesto universitario che ha messo interamente al bando tutta una serie di riflessioni, giudicate poco conformi rispetto alle linee di pensiero dominanti, il progetto Antarès intende ricondurre all'interno di questa ultima – senza esaurire il proprio raggio d'azione in questo, ovviamente – quelle stesse testimonianze.
Da qui tutta una serie di iniziative legate alla detta iniziativa come Tradizione e storia delle idee (che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Gianfranco de Turris, Franco Cardini, Brunello de Cusatis, Davide Bigalli e Claudio Bonvecchio), in ricordo di Gian Franco Lami, una delle anime più importanti della Nuova Oggettività, Diorama su Ezra Pound (al quale hanno partecipato Luca Gallesi, Giorgio Galli, Giulio Giorello e Cesare Cavalleri) e appunto questo evento dedicato al “secondo Heidegger”, mal tollerato da una facoltà filosofia più o meno interamente votatasi ad una vergognosa analitica d'oltreoceano.
La piega che ha preso la facoltà di filosofia – alla quale, come buona parte degli articolisti di Antarès, appartengo – dell'Università Statale di Milano è in ciò assai sintomatica. Dimenticandosi di una importante tradizione teoretica continentale (che essi definiscono con l'epiteto anglosassone di “bad poetry”), tende ad abbracciare le neuroscienze e la filosofia analitica. Segnale di Europei che si dimenticano di essere tali...
Basti pensare che anni fa un docente di filosofia ebbe a dichiarare di “non avere mai letto Platone” e più di recente una professoressa ha affermato, davanti ad una platea giubilante di studenti, che la filosofia di Heidegger è da considerarsi pessima in quanto non obbediente a criteri di tipo logico. Questi sono segnali piuttosto eloquenti per saggiare la stoffa di questi intellettualini dell'ultima ora.


D. Nuova Oggettività, nuova estetica europea?


R. Se riaccordiamo il temine di “estetica” al suo etimo greco, allora la risposta non può che essere affermativa. È di rinnovate categorie esperienziali che oggi abbiamo bisogno. E credo l'impianto della Nuova Oggettività possa fornire questi nuovi parametri esperienziali.
Per poi non parlare della necessità di costituire una Nuova Arte a partire dalle strutture del nostro presente, senza ricorrere alle forme morte di un passato che si è reso muto agli occhi dei moderni. Astrarre un'armonia delle sfere dai meccanismi tecnici, dalle nuove forme che puntellano il nostro esserci storico-destinale odierno. In questo senso, ritengo la lezione futurista possa fornire un avamposto dal quale prendere le mosse. Il futurismo ha impostato delle domande a cui nessuno ha (più) saputo rispondere. È evidente che, in tempi come i nostri, un silenzio del genere è più eloquente di mille proclami. Esso preannuncia l'avvicinamento a talune delle regioni in cui si decide della vittoria o della capitolazione dell'uomo innanzi al proprio futuro.

giovedì 23 febbraio 2012

Ormai solo un dio ci può salvare




Edizioni Bietti 
Antarès - Percorsi Antimoderni 
Cattedra di Storia della Filosofia 1 
Scuola Romana di Filosofia Politica

ORMAI SOLO UN DIO CI PUO' SALVARE
Tecnica e destino nell'ultimo Heidegger

Saluti di 
Davide Bigalli (Università degli Studi di Milano)
Andrea Scarabelli (Università degli Studi di Milano - Rivista Antarès)

Relazioni di:
Maurizio Guerri (Accademia delle Belle Arti di Brera)
Alfredo Marini (Università degli Studi di Milano)

Coordina: 
Davide Bigalli

In occasione della ripubblicazione dell'intervista rilasciata dal pensatore tedesco allo Spiegel

Giovedì 1 marzo h. 16.00
Università degli Studi di Milano 
via Festa del Perdono 7, Aula 113

Segreteria organizzativa: 
3492731027

lunedì 20 febbraio 2012

Nuova Oggettività Relazione 30 gennaio 2012

PER UNA NUOVA OGGETTIVITA' – POPOLO PARTECIPAZIONE DESTINO
INCONTRO MILANO 30 GENNAIO 2012

Nella costituzione di una NUOVA OGGETTIVITA' quale risposta attenta e puntuale alla crisi nella quale ci troviamo a vivere, occorre considerare la problematica contestuale da due punti di vista, il primo dei quali non può che essere di tipo DIAGNOSTICO e il secondo PROPOSITIVO. Tuttavia, ad una più profonda analisi, risulta parimenti evidente come i due momenti non debbano considerarsi come antitetici, o anche solo separati. Viceversa, potremmo addirittura considerare come l'efficacia di una qualsivoglia reazione allo stato presente delle cose dipenda dal radicamento di distruzione e riedificazione in uno sfondo assai più ampio, in grado, in certa misura, di attingere da fonti non avvelenate. Ma non solo.
In luogo di rimescolare le carte, occorre muoversi in una dimensione nella quale PARS DENSTRUENS e PARS CONSTRUENS siano orientate in direzione di una METANOIA, di un “mutamento di cuore” (Lami), solo cardine in grado di garantire portata cosmica ad una rivoluzione. Ma questo presuppone a sua volta una concezione EROICA ed ATTIVA della stessa crisi. Occorre considerare questa ultima come una prova, uno stimolo, a che forze latenti possano destarsi, per condurla a quel compimento che è a sua volta oltrepassamento, secondo la heideggeriana compresenza e complementarietà di Verwindung ed Überwindung. Ogni crisi, se interpretata adeguatamente, ha un insegnamento peculiare da impartire all'umanità, a patto ovviamente che questa ultima sappia saggiarla all'interno delle proprie categorie mentali e spirituali. La crisi, prima di essere un fenomeno socio-ambientale, è anzitutto un impasse di tipo spirituale. Sta all'uomo trovare la Tebaide nel proprio petto, come scrisse Ernst Jünger negli anni Cinquanta, per realizzare il superamento nella propria interiorità e infine proiettarlo, potremmo dire alchemicamente, all'esterno. Contestualmente a detto scardinamento, dunque, la formazione di un nuovo tipo di uomo è essenziale. Solo questo ultimo potrà chiudere un'epoca ed aprirne un'altra.
In ultima istanza, a che una NEUE SACHLICHKEIT possa risultare decisiva, innanzi alla crisi che attanaglia le strutture in via di sfaldamento che caratterizzano il nostro esserci storico e politico, occorre dunque insistere presso i due poli il cui corto circuito è ormai sotto gli occhi di tutti. Detti poli sono la CRISI, che richiede una OGGETTIVITA' a che essa possa tramutarsi in farmaco, e la necessità di un tipo d'uomo NUOVO in grado di resistere alle sue fascinazioni. Questa intersezione è l'unica in grado di costituire dunque il nucleo pulsante di una OGGETTIVITA' che sia soprattutto NUOVA. Due polarità, dalla cui sintesi potrà dipendere una reazione efficace allo stato presente.
Cominciamo dalla prima, vale a dire la CRISI. La marca essenziale del tempo nel quale ci troviamo a vivere altro non è che una crisi sempre più generalizzata, i cui esiti paralizzano le sorti di un mondo il cui ormai fatale tracollo è sempre più di dominio pubblico. È evidente, per chi abbia occhi adeguatamente addestrati, che essa non si limita alla politica, all'università o ai domini del sacro, giusto per fare qualche esempio ma, viceversa, questi ultimi non sono che sfaccettature di un movimento assai più ampio, del quale dette microfratture non sono che rifrazioni contingenti e localizzate.
Costatare la presenza di questa cesura epocale, in fondo, non è cosa nuova. Se ne sono accorti numerosi giornalisti e letteratini i quali, un tempo progressisti, ora si mantengono e garantiscono uno stipendio a se stessi e alla loro progenie limitandosi a criticare lo stato vigente delle cose, spesso nemmeno in modo essenziale. Il leone è ormai in putrefazione e le iene accorrono, a divorarne gli ultimi resti – sono queste le uniche cronache del nostro tempo. In questo, nulla di nuovo, dunque, dal momento che la critica del presente si è risolta in una moda dilagante.
Un passo ulteriore, mosso dalla speranza di recuperare, in qualche modo, le avanguardie perdute, consiste nel riconoscere gli innumerevoli vantaggi che le crisi offrono a chi sappia saggiare le proprie strutture in seno ad esse. Le crisi, come innumerevoli hanno tematizzato, offre delle possibilità straordinarie. Oltre a saggiare le facoltà di quegli ambienti attaccati, esse non ridistribuiscono le istituzioni né ne creano di nuove ma in qualche modo rovesciano la scacchiera, permettendo di indagare, in modo assai lucido e disincantato – secondo i principi di quella NEUE SACHLICHKEIT degli anni Venti e Trenta – per non dire eroico ed immanente in senso assoluto,le strutture in fase di declino. La crisi offre dunque la possibilità di capire qualcosa di più sulla salute del nostro esserci socio-politico-ambientale, anche prima dell'entrata in essa, così come le malattie saggiano la presenza di anticorpi.
Ed è proprio quello sguardo disincantato, eroicamente realistico ed immanente, il quale non cerca né in passati artefatti né nei futuri abitati dai millenarismi di ieri e dai paradisi della tecnoscienza di oggi, a rendersi necessario laddove si voglia non solo capire la crisi, in tutta la sua imponenza, ma anche e soprattutto superarla. E questo attraverso il riconoscimento di taluni servigi che questa crisi, in particolare, ha recato all'ultimo uomo che oggi detta legge nei talk-show in televisione, esercitando la propria (il)libertà presso le urne elettorali.
Che cosa hanno rivelato gli ultimi mesi italiani a questo tipo d'uomo? Niente di meno che la realizzazione delle profezie di certa eretica filosofia della storia, la quale indicava nell'asservimento della politica all'economia, “gigante scatenato”, per usare le parole di Werner Sombart, la generazione di una nuova notte dei popoli, più buia di quelle che hanno precedentemente costellato il firmamento della storia mondiale. Una situazione assai singolare che trasla dunque la frattura precedentemente sussistente tra taluna e talaltra fazione ad uno iato tra quelle forze politiche, le quali indicano nell'esercizio del potere democratico “la partecipazione dei popoli al proprio destino”, per parafrasare Moeller Van der Bruck, e quelle forze apolidi, finanziarie e tecnocratiche le quali mascherano, sotto il vergognoso ecumenismo della “austerity”, una concezione che vede nel dollaro la madrelingua dello stato planetario, di cui essi sono fautori e promotori. Una dittatura della finanza, come scrive Vincenzo Centorame nel manifesto che presentiamo oggi, assolutamente nemica della bellezza, fondamento secolare della paideia, presso la cultura continentale.
Una tirannia, questa ultima, che dispone di numerosi alleati, primo fra tutti la scienza faustiana, il cui braccio secolare, la tecnica, oggi ha esteso le sue possibilità a livello planetario, e con esse, parimenti i rischi. “Si è arrivati alla macchina ma non ancora alla vita” (Luigi Podestà), scriveva qualcuno al principio del secolo scorso: si tratta di uno iato dal quale nessuna reazione o rivolta che sia può prescindere.
Questa la lezione impartita dalla crisi di oggi: quelle forze che ieri governavano da dietro le quinte i fatti storici oggi si palesano, escono allo scoperto. Tutte le sovrastrutture sono crollate e oggi il potere che ha favorito l'ingresso nella modernità si esibisce nella sua nudità. Lungi dal cercarne ossessivamente i detentori, basta in realtà limitarsi ad osservare il corso dei fatti per vederli all'opera.
Non è più necessario pertanto cercare quelle forze occulte che determinerebbero il divenire storico, nella misura in cui oggi detti poteri hanno calcato le scene della politica continentale, ma anche planetaria. Questo slittamento dai poteri partecipativi alla cosiddetta “governance”, è oggi sotto gli occhi di tutti, è quanto di più prezioso disponiamo, al fine di realizzare un movimento che sappia porsi in modo antagonistico rispetto allo stato di cose venuto a signoreggiare nel presente. Scrivere ciò qualche decennio fa non poteva che condurre alla taccia di visionari, oggi come oggi, al contrario, idee di questo tipo permeano i dibattiti pubblici in ogni loro fibra. Ragion per cui, è necessario assumere questi dati come punto di partenza, al fine di criticare in modo costruttivo quei poteri che hanno sottratto ai popoli il monopolio della loro realtà storico-destinale.
L'ascesa dei tecnocrati alle cariche pubbliche oggi è quasi interamente normalizzata. Alla democrazia partecipativa si sostituisce l'idea secondo cui qualsivoglia problematica di ordine socio-politico possa risolversi in un insieme di curve ed istogrammi. La crisi, resa possibile da questa riduzione, viene fatta pagare ai popoli da talune entità che, in modo più o meno consapevole, hanno contribuito a crearla e massimizzarla. Ecco ciò che ha insegnato questa crisi. Se questa sua lezione può dirsi incapacitante per chi ne subisce gli effetti passivamente, per chi sia intenzionato a combatterne gli esiti essa costituisce un materiale di lavoro assai prezioso, di cui nessuno dei nostri predecessori ebbe a disporre.
Si parlava di garantire il radicamento di pars construens e pars denstruens ad un terreno in qualche modo comune. Ebbene, i vantaggi che offrono i mutamenti epocali ai quali stiamo assistendo si condensano nella inutilità di una pars denstruens, in senso vero e proprio, in quanto è essa stessa la cifra del nostro tempo. Nulla è rimasto ormai da decostruire in quanto tutti gli elementi che ieri venivano messi al bando dall'antimodernismo oggi hanno fatto bancarotta, senza eccezione. La storia ha rivelato il suo volto notturno. Se, come scriveva Jünger, ci troviamo nella mezzanotte della storia mondiale, resta pur vero che la presa di coscienza di ciò costituisce il primo passo verso l'elaborazione di una rivoluzione contro il presente.
Qui giungiamo al secondo corno del problema, da improntarsi sulla necessità di formulare una reazione al decorso degli eventi in grado di agire in maniera efficace e quanto più integrale possibile. E qui, il materiale offerto dal manifesto PER UNA NUOVA OGGETTIVITA' è del massimo interesse, in quanto documentazione dell'intimo bisogno di formulare un processo al presente che sia in grado di portarsi di là da esso, senza subirne le fascinazioni e il potere sempre più irresistibile.
Componente fondamentale di una simile idea di reazione è la necessità di volgersi all'originario, al momento iniziale e fondativo, ma sempre e comunque in un'ottica restaurativa e attualizzante. Occorre sì giungere al cominciamento, anche e soprattutto a che una diagnosi del proprio hic et nunc possa dirsi effettiva, ma unicamente per cercare un “nuovo cominciamento”, che prenda le mosse dal proprio essere-al-mondo. Qualsiasi altro tipo di ricorso al passato, magari in nome dell'insufficienza di un presente ormai votatosi all'attrazione del nulla, ha da ritenersi fallimentare. Un ricorso positivo al passato giunge invece a designare la storia come fondazione perenne, l'istante come carico dell'eterno. In questo senso vi è chi, nel manifesto, ha parlato della modernità come modalità temporale di indagine del proprio mondo circostante. Idea questa assai preziosa, sulla quale torneremo.
In questo universo concettuale ha da situarsi parimenti il superamento della dicotomia moderno/antimoderno: la correzione del proprio presente ha da essere intesa non come negazione ma integrazione, dotazione dell'hic et nunc di “nuove mistiche”, secondo la lezione di un Filippo Burzio, a partire dalla “viva sete di luce” che, come scrisse Luigi Podestà, caratterizza il presente. Ogni soluzione alla crisi della modernità deve essere essa stessa moderna – sebbene, si badi, non risolventesi negli strumenti offerti dal presente – per non dirsi votata al fallimento. Siamo moderni e non possiamo che essere tali. Benché spesso si abbia di mira un luogo altro dalla modernità, o forse l'idea di un'altra modernità da realizzarsi per supplire alla carenze della prima, non dobbiamo mai dimenticare il nostro lignaggio. Non si tratta di rifugiarsi un un luogo altro dal presente quanto piuttosto di guadagnare in seno ad esso una posizione privilegiata di osservazione dalla quale potere, all'occorrenza, contrattaccare.
Contestualmente a questo il mito può dimostrarsi ausiliario, in quanto narrazione di volta in volta rinnovata dell'ARCHE', da non confondersi ovviamente con l'origine stessa, motore immobile dello stesso mito, come di tutto ciò che concerne l'uomo. È proprio il mito a rivelare la necessità di una indagine dell'origine posta sotto il segno dell'immanenza. In questa misura – e solo in questa misura – il ricorso al passato può propiziare la formazione di quella stoffa esistenziale richiesta all'uomo del domani, a che torni ad essere protagonista del proprio destino, sottrattogli dai tiranni, dai demagoghi e dai banchieri di turno. Perché è di una riappropriazione che si tratta, e il sottotitolo della presente iniziativa – popolo partecipazione destino – è assai chiarificatore contestualmente. Tuttavia, affinché questo passaggio di testimone possa dirsi efficace, senza ridursi alla trasmissione di un virus, come troppo spesso è capitato in seno alle grandi rivoluzioni di ieri, occorre formare i popoli in modo affatto nuovo e totalizzante, delineando un orizzonte di azioni possibili che contenga, ad esempio, l'attenzione verso l'ecologismo, da lungo tempo espropriato da altre forze dimostratesi incapaci di condurre efficacemente questa causa. Una attenzione la cui urgenza si fa sempre più pressante in virtù della responsabilità ambientale, che lega le sorte della Weltgeschichte, la storia degli uomini, a quella della terra (Erdegeschichte). Ma anche la necessità di rifondare il rapporto tra politica, comunità ed economia, illustrata da Luca Gallesi nelle tre figure archetipiche del conio, della spada e della bilancia, per proseguire sulla medesima linea direttrice verso l'auspicio della creazione dell'aureo, auspicata da Guglielmo Maria Lolli-Ghetti.
L'OGGETTIVITA' di cui sopra si traduce insomma nella necessità di compiere un cammino mitico, fondativo e in certa misura archeometrico, in grado cioè di compiere una analisi del presente sempre in relazione a punti di riferimento ad esso estrinseci, nella stessa misura in cui un autore come Julius Evola ebbe a subordinare l'attività della CLAVA, che decostruisce le contingenze, a quella dell'ARCO, che attinge a punti di riferimento di natura metafisica e metastorica. I medesimi numi tutelari di cui dispone parimenti una NUOVA OGGETTIVITA' che voglia dirsi tale, e ciò a partire dallo slittamento dell'orizzonte storico in quello geopolitico, il quale trascende interamente l'idea di historia, almeno per come è andata imponendosi negli ultimi secoli.
Momento fondamentale di questa analisi è parimenti la necessità di riformulare i limiti e le condizioni delle partecipazioni dei popoli al loro proprio destino, di modo da istituire una modalità partecipativa in qualche modo al riparo dagli attacchi della modernità. A partire da questo, come ben delineato nel contributo di Giuseppe Casale, il recupero e l'attualizzazione di una città intesa come meso-Cosmo, axis mundi in grado di porre in relazione analogica il microcosmo individuo e il macrocosmo di respiro siderale, nella convinzione che solo una visione di questo tipo possa dirsi in grado di rifondare il trinomio popolo destino partecipazione. Una visione autenticamente politica, che vede nell'inserimento dell'uomo nella sua polis l'immanentizzarsi delle sue risorse superiori. Un legame che consente di armonizzare le naturali ed ineliminabili disuguaglianze tra gli uomini sotto il segno del suum quique tribuere in un progetto più ampio, che ricalchi l'integrazione cosmica delle differenze le quali, una volta espropriate ai vangeli dell'égalitarismo, divengono peculiarità, capitali assai preziosi. Solo ricostituendo un analogo senso della polis, il quale serpeggia, in modo carsico, nei labirinti della cultura occidentale, riapparendo di volta in volta, soprattutto in occasione delle crisi, è possibile debellare quelle forze che oggi dettano la scansione del nostro pianeta, in modo fallimentare. Forze che si dichiarano apolidi, nemiche dei limiti i quali altro non sono che la quintessenza di una città intesa come imago cosmica, opposta la caos tramite il limen. Dove il limite cittadino strappa al caos, all'indistinto, un mundus creato a regola d'arte, dette forze richiedono, per espletarsi, l'azzeramento delle frontiere. Da qui, la necessità di ripensare il concetto di limite, come immanentizzazione sacrale, per rifondare un senso di comunità che sappia resistere agli attacchi del nichilismo.
Ma questo, ancora volta, nella consapevolezza che simile ricorso al mito delle origini non è un viaggio di sola andata, ma prevede sempre e in ogni caso, il ritorno al proprio hic et nunc, al kairos, istante della decisione, momento della realizzazione dell'idea, unico orizzonte reso disponibile ad un uomo che non voglia sottostare al decorso degli eventi, di modo che, il “fu” divenga ancora possibile, come ricordato appunto da Casale. Gesto propedeutico a questa rifondazione è dunque il ripensamento delle dimensioni temporali, facendo della nostra epoca non solo un momento storico ma anche un orizzonte temporale, in modo che il futuro, lungi dall'essere il ricettacolo utopico delle insoddisfazioni di un presente mutilo, sia delineato a partire dall'origine. L'inizio non deve relegarsi alla preistoria ma, al contrario, deve essere presente in ogni istante, come attimo di dischiusura dell'eterno e parusia dell'archetipo, attimo propizio alla (ri)fondazione. In questi termini una NUOVA OGGETTIVITA' può dirsi autenticamente efficace, in quanto cosmicizzazione dell'esperienza, della storia e della politica, di cui ci parla Lami.
Questa l'altra modernità che fa da sfondo a numerosi contributi, tra i quali quello di Giovanni Damiano, che individua il nostro tempo come pluralità di modernità. Modernità da realizzarsi tramite una revolutio, che sappia fornire una nuova identità contemporanea all'originario, strappando una nuova età dell'oro all'Occidente declinante, ritornando al punto di partenza ma in un'ottica avveniente.
Necessità di una immanenza assoluta, che comporti una dedizione pressoché totale al nostro tempo; bisogno di una umanità nuova atta a percorrere la crisi fino in fondo, per sopravvivere ad essa; garanzia di uno sguardo che sappia diagnosticare il presente da un punto di vista alieno ad esso, senza sfuggirvi, ricorrendo ai paradisi artificiali di passatismi ed utopismi. Queste tre delle numerose chiavi di lettura del MANIFESTO. Si tratta di una scommessa il cui esito può dirsi epocale, in quanto contrappone alla deriva del nostro tempo la possibilità di aprire una nuova temporalità, moderna e archetipica, in una parola rivoluzionaria, nella accezione di cui sopra. Una iniziativa divisa in linee direttrici archetipiche, dalla simbolica alla geofilosofia e alla geopolitica, dalla metastoria e dalla metafisica sino all'etica, all'economia e alla politica, dall'estetica figurativa, poetico-letteraria e musicale sino alla comunicazione. Questi gli spunti per delineare un'atlante del nostro tempo che permetta di superarne l'impasse epocale, a che, come scrive Giovanni Sessa nella chiusura del manifesto, le isole tornino ad essere un arcipelago e la tradizione si riveli come una utopia sempre transitabile. Questo l'archeofuturismo che permea questa iniziativa la quale può garantire la trasformazione dell'uomo della crisi in un tipo superiore che la sottometta, per garantire la fine della notte dei popoli di cui sopra, di modo che, come scrive Alain de Benoist, anche dall'oscurità più impenetrabile possa sorgere una nuova luce.