lunedì 5 agosto 2013

Lisbona 2012

Lisbona 2012. Pessoa o del re interiore dell'europa
di Andrea Scarabelli

(in Aa. Vv., Per quale motivo Israele può avere 400 testate atomiche e l'Iran nessuna? L'impero interiore, Edizioni La Carmelina, Ferrara 2013)
http://www.edizionilacarmelina.it/?page_id=613


LISBONA, NOVEMBRE 2012. Ultimo atto: in capo all'Occidente – oltre ultra – il Portogallo attende ancora il suo re perduto, disperso in guerra contro i mori e mai più ritrovato, almeno nelle sue spoglie mortali. Quella di Ksar El Kebir fu una missione suicida, a tutti gli effetti. Poche divisioni di europei innanzi a schiere sterminate di musulmani. Ma Dom Sebastiao seppe che ciò era necessario. Il suo sacrificio avrebbe fecondato la terra. L'esercito decimato, il corpo del Re mai rinvenuto. Perito? Nessuno volle crederlo. Dipartito nelle Isole Fortunate – declinazione lusitana di Avallon Unterberg Gudenberg Kiffhäuser – tuttora se ne attende il ritorno.
Lisbona, novembre. “Guai a te Lusitania, che dominerai su tutte le nazioni, poiché verrà il tempo in cui la tua luce si spegnerà; ti troverai sotto i piedi degli altri, che ti romperanno, come se fossi un vaso di coccio, e porteranno via le tue ricchezze e i tuoi tesori; allora sarai tributaria, gemerai, e di tutti coloro che ti amavano nessuno ti consolerà. Il tuo onore sarà diventato diverso, la tua gente distrutta, le tue città conquistate dagli infedeli”, scriveva Pessoa, profeticamente. La antica potenza imperiale – l'odierna colonia finanziaria. Ecco gli infedeli di cui sopra. Finis terrae. “In principio era la parola e la parola veniva tradita” (E. P.). Leggendo la filigrana del passato s'intravvede la miseria del presente. È la nostra disgrazia – ma forse anche il principio della salvezza.
Lisbona, oggetto di queste pagine, assurge a simbolo dell'Europa intera, in bilico tra il ricordo di un re scomparso e la speranza in uno che si attarda a risorgere, dal cuore della montagna o nell'isola nella quale giace, assopito, sognando il suo Impero. Il suo sogno è l'Europa, destino millenario ceduto a grigi burocrati tecnocrati plutocrati. Il Re dorme ancora.
Ma valle a spiegare queste cose ai banchieri, alle Fraulein e ai professori, ai detentori dell'Euro, unica madrelingua di un Occidente che ha abdicato al compito di darsi una forma, di assegnarsi un compito, di regalarsi un'identità. Valle a spiegare a codesti signori – trova, se ti riesce, qualcuno disposto a processarli; quale corte potrebbe giudicarli, quale tribunale inchiodarli ai loro misfatti (E. P.)?
Certo, la posta in gioco è abissale: si tratta di rinunciare alla possibilità di stabilire una linea di continuità tra un glorioso passato, un presente incerto e un futuro quanto mai incombente, indovinabile solo tramite diagrammi ed istogrammi, vaticini dell'oggi. Il Portogallo. L'Europa.
Entrambi attendono il Re. E c'è ancora chi, in mattinate di nebbia, memore dell'antica profezia, si azzarda: “Ora torna D. Sebastiao”. Ma il sovrano si fa desiderare. E invano ci si attarda a cercarne i lineamenti nel demagogo di turno, quand'anche nel professionista sportivo o televisivo. Translatio imperii modernissima.
Eppure, lo stesso Pessoa chiarì, in modo non passibile di fraintendimento alcuno, i termini di questo auspicio. Il Portogallo – ma qui potremmo estendere il discorso all'Europa intera – ha sempre atteso il ritorno fisico del sovrano. Mancando questa figura, è avvolto da una cappa di passatismo incapacitante – saudade crepuscolare che paralizza l'azione. Coltiviamo il sogno del re nei nostri cuori ed esso risorgerà, calcherà nuovamente la scena della storia continentale. Sarà un nuovo inizio, di certo – ma tutto il resto dovrà prima colare a picco. Questa la Via della Mano Sinistra pessoana: “Iniziamo a inebriarci di questo sogno, ad integrarlo in noi, a incarnarlo. Fatto questo, ciascuno di noi in indipendenza e da solo a solo con sé, il sogno si propagherà senza sforzo in tutto quello che diremo e scriveremo, e l'atmosfera sarà creata (…). Allora si formerà nella Nazione il fenomeno imprevedibile da cui nasceranno le Nuove Scoperte, la creazione del Mondo Nuovo, il Quinto Impero. Sarà ritornato il Re Don Sebastiano”.
Forse occorre ripensare la venuta del desejado, dell'encoberto, del sovrano, da intendersi in modo affatto diverso da quanto accaduto sinora? Forse che l'oro a cui anelare non sia quello volgare (così detto dalla sapienza ermetica) con il quale oggi si ricattano i popoli, ipotecandone il futuro, ma quello celeste – solare – da realizzarsi sub specie interioritatis? E invece no: noialtri si attende il Re dalle Isole Fortunate. E la deriva continua.
Il nascondimento del Re – questo il messaggio di cui l'attuale dramma lusitano può farsi latore – non è altro che un modo d'essere nostro. La sovranità di cui sopra non deve palesarsi fisicamente ma fare capolino come disposizione essenziale ad accoglierla e ridestarla al nostro interno, appunto. Abdicando al compito di assegnarci un destino, abbiamo cacciato il Re presso Avallon, le Isole beate, chiamiamolo come ci pare. Questi luoghi non sono fisici ma prima di tutto esistenziali. Non si giunge ad Avallon tramite navi o aeroplani ma attraverso una metanoia. Questo il bivio che attende l'Europa.
Insomma, vi è ritorno e ritorno. L'uno esterno, per così dire, materiale, e l'altro interiore, spirituale. Il primo dà come risultato la nostalgia per un paradiso che nasce già in quanto perduto, il secondo si configura invece come esperienza immortalante, come destino.
Ebbene, il Re di cui parla Pessoa è del tutto interiore – non che si risolva nel subconscio, beninteso, come certuni vangeli moderni pretendono di assumere – e ha da essere raffigurato come un compito, un anelito, uno stato da conseguirsi. E la sovranità è il destino dell'Europa. Nazionalismo mistico: così Pessoa definì questa Grundstimmung, variazione modernissima di una disposizione assai antica.
Il re esige una metanoia, prima di comparire, o chi lo riconoscerà? La venuta del sovrano è dapprima interiore: è sufficiente ridestare il monarca in sé per poi – alchemicamente – proiettarlo fuori di sé. Questa l'unica via moderna alla sovranità, del tutto europea. Un'ascesi solare, regale, che veda nel monarca fisico un simbolo – e nulla di più – di un iter da realizzarsi a livello individuale, qualsiasi altra possibilità essendo relegata alla maledizione della saudade, per l'appunto. Al pari del nichilismo europeo, naturale esito di un dio cercato fuori di sé e eteroconseguito, e non sorpreso nella propria interiorità.
Una soluzione moderna ad un problema insolubile, laddove nella modernità ci si radichi. È una risposta tradizionale alla crisi. Non si guarisce dalla malattia utilizzando i suoi stessi strumenti – persino la Via della Mano Sinistra richiedendo, in effetti, un orientamento superiore. Monito dirimente, al fine di superare l'impasse del capitale che la modernità esibisce quale suo tratto preponderante: quando la partita è organizzata e diretta da bari, occorre essere risoluti e rovesciare la scacchiera, come scrisse Jünger – solo così il Re interiore dell'Europa risorgerà.
Lisbona. Alla stazione del Rossio, una raffigurazione di Lima de Freitas mostra Fernando Pessoa, tra le mani una copia de La via del serpente, incoronato di gloria. Due serpi si rincorrono per tutta l'estensione del dipinto, srotolandosi da Christian Rosenkreutz alle stelle. Pessoa va a costituire l'asse di un caduceo ermetico, di quel caduceo che è il Portogallo – ma forse l'Europa intera, che ha da riconoscersi come realtà assiale, verticale, prima che aggregato socio-economico (secondo una tale ottica, la presente crisi potrebbe essere addirittura un'occasione, non avendo intaccato che l'Europa “orizzontale” e forse favorendo persino il ricordo di un'altra Europa).
Incoronandosi e scegliendosi come destino, insomma. Il re sarebbe tornato, in un giorno di nebbia, dicevano i vaticini, restaurando l'antico splendore portoghese e instaurando il Quinto Impero, somma e sintesi dei precedenti quattro, elencati dalla profezia di Daniele. Ecco la variazione pessoana sul tema, che chiude Messaggio, canto del Portogallo ma dell'Occidente intero:

Tutto è disperso, niente è intero.
Portogallo, oggi sei nebbia.
È l'Ora!
                                                         Valete, Fratres.

È l'ora. Che il Re venga disvelato, che i frammenti di un sogno – lungo svariati secoli – possano costituire una compagine organica, atta a farci transitare oltre il declino, oltre la catabasi dell'ortodossia economica, oltre la storia, oltre l'Occidente.
L'Europa è (ancora) una missione.
Pessoa ne è il cantore.

Andrea Scarabelli

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